venerdì 24 gennaio 2014

Le Età di Mezzo

Le Età di Mezzo

Data di pubblicazione: settembre 2012
Lunghezza: 36.990 parole
ISBN (Smashwords): 978-13-011-13002

Valentina, superata ormai la difficile fase dell’adolescenza, sente il bisogno di ripensare agli avvenimenti principali della sua vita interiore e lo fa sfruttando sia la sua memoria che quella del confidente della sua giovinezza: il suo diario. Il suo spirito si evolve, muta mentre attraversa insicuro le turbolente acque che separano l’infanzia dall’adolescenza. Spinta da sollecitazioni diverse e nuove, Valentina si troverà così a scoprire l’amicizia, l’intricato e sottile equilibrio dei rapporti sociali, l’amore. Soprattutto l’amore: sia quello leggero, incorporeo, tipico delle prime esperienze, sia quello maturo, completo, definitivo. Gli anni della crescita sono però anche quelli in cui Valentina decide di leggere i diari di sua madre, Camilla, che le erano stati regalati quando, sedicenne, li aveva ritrovati in un vecchio e dimenticato cassetto. Si accorge così di come, seppur a distanza di vent’anni, i problemi ed i pensieri degli adolescenti, per quanto diversi e particolari, siano in un certo senso simili a sé stessi, circolari, ricorrenti.

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Nel seguito del post potete leggere l'inizio del racconto. Buona lettura!






Le Età di Mezzo

... se chiudessi gli occhi per sempre...

La prima volta che trovai il diario di mia madre avevo poco più di dodici anni. Durante quel fantastico e sconvolgente periodo che stavo vivendo, quello tra la fine dell'infanzia e l'inizio dell'adolescenza, mi piaceva molto trascorrere i pomeriggi in solitudine rifugiandomi nella camera di mia zia Elisa. Lei aveva solo ventiquattro anni ed era la sorella minore di mia madre; quando usciva con i suoi amici o andava al lavoro io mi impossessavo, quasi di nascosto, del suo regno. Lei viveva ancora con i miei nonni, abitavano nell'appartamento affianco a quello occupato dalla mia famiglia: i due appartamenti erano separati solo da una parete e quindi finivano per essere l'uno il prolungamento dell'altro.
Sapevo che la nonna mi sarebbe stata complice e quindi non temevo ripercussioni a seguito delle mie intrusioni, ma in fondo non facevo nulla di male, non toccavo nulla: mi distendevo sul letto, guardavo la piccola televisione di plastica rossa che trasmetteva solo immagini in bianco e nero, rubavo un pezzo di cioccolata di cui Elisa andava ghiotta (il cassetto del comodino ne era sempre ricolmo). Elisa aveva condiviso quella camera da letto con mia madre, prima che si sposasse. Al tempo delle mie scorribande sul letto di legno chiaro erano passati tanti anni (dodici, per la precisione) e non vi era più nessun oggetto che ricordasse la presenza della sorella maggiore, fatta eccezione per il quadro ricamato a punto croce appeso sopra lo stipite della porta: il nome di Camilla, scritto con un giallo brillante, si intrecciava con quello verde mela di Elisa.
Un pomeriggio freddo e uggioso, mentre la pioggia si spandeva sulla finestra acquerellando gli ippocastani del parco di fronte, io mi sentivo stranamente piena di energia. Forse accadde perché alla televisione non c'era nulla che mi interessasse o forse perché quando si è rinchiusi in un'età di mezzo ci si ritrova a crescere così in fretta che ogni giorno ci si sveglia nel corpo di una persona diversa da quella che si era addormentata la sera precedente… Non so dire il perché... ma successe... Mi sentivo diversa e tutto attorno a me pareva cambiato. Ovviamente nulla era cambiato in quella stanza, nessun oggetto era in un posto diverso da quello solito, erano sempre le cose che già conoscevo, ma ai miei occhi tutti gli oggetti lasciati a raccogliere la polvere sulle mensole mi apparvero improvvisamente come le cose più preziose che avessi mai visto. Lo scrigno di legno e le scatoline di vetro e di porcellana divennero i custodi di storie segrete e incredibili. I cassetti e gli armadi si erano trasformate in terre sconosciute che aspettavano di essere scoperte.
La pioggia sottile ed il vento grigio gemevano fuori dalla finestra ma io riuscivo solo a sentire il richiamo di quegli oggetti che mi chiedevano di essere afferrati, conosciuti. La mia eccitazione era tale che non pensai nemmeno per un momento che se fossi stata scoperta a rovistare tra la roba di mia zia mi sarei giustamente presa un sonoro rimprovero: le storie che ogni piccolo ninnolo prometteva di raccontarmi erano troppo seducenti per resistere.
Incominciai ad aprire una scatolina di vetro che era sempre stata lì, sul comodino, a portata di mano, ma che fino ad allora non avevo mai reputato interessante: dentro c'era un anello di metallo dorato, di quelli che si trovavano come sorpresa nei pacchetti di patatine. La pietra di vetro rossa e opaca era più sfavillante di un diamante per me che cercavo di estrapolarne (ma più probabilmente di inventarne) la storia: forse mia zia lo aveva trovato in una delle sue numerose merende pomeridiane? No! La mia sconfinata immaginazione reputava molto più probabile che fosse il regalo di uno spasimante segreto. Insieme al misterioso anello c'era un bracciale di perle di fiume di cui conoscevo bene le origini: ricordavo di averlo già visto tra le mani di mia madre poco più di un anno addietro. Eravamo andati in vacanza a San Marino ed eravamo entrate in uno dei piccoli negozi che si aprivano sulle strade del centro storico. Lei lo aveva disteso sulla mano per farmelo vedere meglio. "Sarà perfetto al polso sottile di Elisa." aveva detto in quella occasione.
Sulle tre lunghe mensole fissate sopra la scrivania i romanzi già letti erano sommersi da piccoli peluche che raffiguravano orsetti, coniglietti, topolini... tutti adornati con cuori e fiori e immobilizzati in atteggiamenti buffi e allo stesso tempo teneri. Tutti regali raccolti tra amici e corteggiatori del periodo in cui andava ancora a scuola e che era normale trovare ancora nella stanza di Elisa. Era già diventata una donna ma non riusciva a separarsi da quei piccoli compagni che le permettevano di riconoscersi ancora come una bambina solo un po' più grande e che, contemporaneamente, la discolpavano dalla scelta di continuare a vivere ancora coccolata dalla mamma.

Rientravano molto meno nella normalità altre cose: i settimanali di automobilismo, i moschettoni da scalatore, il teschio bianco e lucido di un gatto che aveva ancora fissati nella mascella quattro denti aguzzi (ricordo di quando da bambina amava esplorare la campagna attorno a casa).
Se tutto questo fosse stato visto da uno sconosciuto, questi avrebbe senz'altro pensato che quella stanza veniva usata anche dal maschio di famiglia. Ma io ero cresciuta con le storie che mi raccontava mamma: non potevo dimenticare le foto in bianco e nero che ritraevano una Elisa di dieci anni vestita con la tuta mimetica e il cappello da alpino di mio nonno. I soldatini di piombo con cui aveva giocato per anni erano ancora in quella camera, chiusi in un barattolo di vetro e custoditi tra i maglioni di lana, in un cassetto.
Fino a quel momento avevo solo guardato con più attenzione le cose che da sempre avevo avuto sotto gli occhi: semplicemente la mia mente ora era più ricettiva nell'ascoltare quello che avevano da raccontarmi. Ma quando aprii i cassetti e gli armadi cominciai a sentire il peso della mia coscienza. Io ero sempre stata molto gelosa delle mie cose e mi arrabbiavo sempre molto quando mia madre si permetteva di entrare nella mia stanza con la 'scusa' di fare la polvere. Anche se in realtà tutti in casa avevano sempre rispettato la mia privacy, non riuscivo a crederlo fino in fondo: all'epoca la mia adolescenza era allo stadio in cui la fobia che provavo per la curiosità altrui mi aveva portata addirittura a promettere che avrei fatto personalmente le pulizie nel mio territorio (quello racchiuso tra le quattro pareti di camera mia).
Prima di quel fatidico giorno avevo sempre rispettato le proprietà altrui e avevo sempre considerato quei cassetti chiusi come limiti invalicabili. Ma mi sentivo trascinare da impulsi irrefrenabili, come se da tempo si fossero stipati e compressi fino al limite di rottura: si erano liberati e mi sarebbe stato impossibile tenerli sotto controllo.
La mia attenzione cadde su due quaderni scuri dall'aria vissuta: il bordo delle pagine era ingiallito e la carta della copertina era consumata dal tempo e dall'usura. Una scritta a penna era lì ad ammonirmi: DIARIO. [...]

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