mercoledì 26 febbraio 2014

In difesa delle "d" eufoniche!

In difesa delle "d" eufoniche!

Quest'oggi voglio spezare una lancia in favore dell'uso della "d" eufonica. Sempre più spesso mi capita di imbatterimi in rete in articoli relativi all'uso della lingua italiana in generale in cui l'uso delle eufoniche viene severamente stigmatizzato (in particolare in vademecum, linee guida, ecc. pubblicati da case editrici, agenzie letterarie e simili). In particolare, esso è spesso indicato come uno dei più diffusi e principali (presunti) errori degli scrittori esordienti, mentre paradossalmente poco si dice rispetto all'uso delle forme verbali e di costrutti sintattici che poco hanno a che spartire con l'italiano scritto. Tengo subito a precisare, prima di essere frainteso, che tutti i discorsi relativi allo scrivere hanno carattere generale e statistico, potendosi quasi sempre trovare particolari eccezioni alle regole di grande effetto e quindi a loro modo corrette. Le cosiddette licenze letterarie sono assolutamente sacrosante, notando comunque come esse siano normalmente adottate in maniera cosciente da scrittori che già padroneggiano la lingua italiana.





Diciamo subito che l'uso della "d" eufonica non è ammesso solo tra vocali identiche, come molti pensano, ma anche tra vocali differenti quando questo risulti piacevole, armonico e scorrevole. Non per niente "eufonia" significa proprio "suono buono/piacevole". Quello che va evitato è l'abuso che può creare cacofonia ("suono cattivo/sgradevole") - categoria nella quale possiamo far ricadere anche l'eccessiva alliterazione, o polisemia ("molteplicità di significati" - abbastanza raro, per la verità). Sta quindi alla sensibilità dell'autore scegliere dove e quando utilizzare le "d" eufoniche all'interno di una frase, a seconda della musicalità della stessa e del ritmo che vuole dare alla lettura.

Dal punto di vista storico e semantico, la "d" eufonica deriva da espressioni che anticamente erano largamente utilizzate e derivavano più o meno direttamente dal latino. Esempi ne sono la congiunzione et (la congiunzione e latina, ancora utilizzata nei telegrammi e dalla quale può venir fatto discendere l'ed), la preposizione ad (dall'omofona preposizione latina), l'avversativa sed (che in latino significa ma) e la negazione ned (forma non più usata di davanti a vocale). E' quindi un elemento che ha radici lontane.

La convinzione (da parte di alcuni editori in particolare) che l'utilizzo delle consonanti eufoniche vada limitato al caso di iato tra vocali identiche deriva o dalla confusione tra lingua parlata (dove spesso le "d" eufoniche non vengono utilizzate, anche per l'influenza più o meno forte di forme dialettali locali o di espressioni colloquiali) e lingua scritta o dall'interpretazione eccessiva mente estensiva della semplificazione lessicale proposta da Bruno Migliorini, storico presidente dell'Accademia della Crusca, che ne prevede appunto l'uso soltanto quando la preposizione "a" o le congiunzioni "e" ed "o" (notiamo che qui avrei potuto scirvere "e" e "o", essendo la "o" tra virgolette. Il suono risultante non sarebbe stato però particolarmente armonioso; l'inserimento della "d" induce inoltre a rallentare la lettura staccando meglio le vocali virgolettare e rendendo più chiaro all'ascoltatore il concetto - NdR) si trovino davanti a parole inizianti con la stessa vocale. Questa è però una semplificazione generale e, come diceva lo stesso Migliorini, non vieta affatto un uso più estensivo delle "d" eufoniche, a patto che non risultino sgradevoli all'ascolto.

Va da sé che, in molti casi, di fronte alla richiesta di un editore di uniformarsi in maniera rigida e cieca alle regole della semplificazione generale, l'autore preferisca cedere che imbarcarsi in lunghe e fastidiose disquisizioni. La qualità di un testo di prosa difficilmente ne risentirà in maniera significativa. Certo è che in questo modo si sacrifica la possibilità di agire sulla cadenza e sulla musicalità del testo, violando uno dei principi fondamentali della nostra lingua, che è appunto il senso dell'armonia tra le parti e della melodia dell'enunciato.

Per approfondire l'argomento e capire meglio quali possono essere i veri errori che si possono commettere con l'uso o con il non uso delle "d" eufoniche, si può far riferimento a vari articoli presenti sul sito dell'Accademia della Crusca (tra cui questo), sul vocabolario Treccani (ad esempio questo) e su molti altri siti specializzati, senza dimenticare l'ormai immancabile Wikipedia.

11 commenti:

  1. Prima di leggerlo temevo sarebbe stato barboso... invece l'ho trovato piacevole ED interessante. Alla fine questo articolo mi ha reso davvero EUFONICA. (Hihihi!)

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    1. Visto, donna di poca fede? Per quelli veramente barbosi devi aspettare ancora un po', ma non temere... ne ho una caterva di riserva! Hihihi!

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  2. Io sono una ferrea sostenitrice della posizione della Crusca, però ho letto volentieri il tuo post.
    Se posso, ti lascio il mio: http://tamerici-romina.blogspot.it/2012/05/d-eufoniche.html
    (Se non posso, be', cancella il commento).

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    1. Certo che puoi! Ho letto il tuo post e, mi sembra, le basi siano più o meno le stesse. Le conclusioni sono un po' diverse ma è una questione di scelta personale. Anch'io, di solito, seguo la regola semplificata, a meno che particolari esigenze di ritmo o di musicalità o la ricerca di certi effetti non mi portino a usare qualche eufonica. Quello che mi premeva sottolineare era più che altro che l'uso della "d" non è sbagliato a priori... ovviamente non bisogna esagerare. Ricordiamo poi che le semplificazioni linguistiche sono spesso introdotte per prendere atto e far fronte al generale abbassarsi del livello di conoscenza della lingua stessa e delle sue regole da parte dei suoi utilizzatori. Il problema è, secondo me, che al giorno d'oggi il livello medio è piuttosto basso, così che si cerca di semplificare tutto per attenuare certe mancanze di base. So che, nel tuo caso, non è questo il motivo che ti spinge ad abbracciare la regola semplificata del Migliorini, ma più mi capita di leggere opere "nuove", più mi convinco che le cose vadano in questo modo.

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  3. Io sono una di quelle che fa uso smoderato della d eufonica soprattutto nella "lingua parlata". Mi sento tra voi che scrivete un po' come quelli che suonano ad orecchio pur non conoscendo la musica. Tornero` con calma a leggerti, ora ho un circo da mandare avanti e le belve da domare di lunedi` .... e non so se mi spiego! :)

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    1. Grazie del commento! Torna pure quando vuoi, sei sempre la benvenuta.
      e... auguri con il circo!

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  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  5. Buonasera Davide. Ho letto con piacere il post in difesa delle "d" eufoniche (ne sono una sostenitrice). Io non ho mai seguito una regola ben precisa se non quella dettata dalla musicalità delle parole. Lo so, non si scrive ad orecchio (almeno non solo), ma io scrivo poesie e la poesia necessità a mio avviso di una musicalità tutta sua...
    per questo motivo ben vengano le "d" eufoniche, i troncamenti, le licenze poetiche...
    Questo è il risultato: http://palmarossomando.blogspot.it/
    Buona serata.
    Palma

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    1. Ciao Palma,
      a causa di qualche non meglio precisato problema di Blogger mi sono arrivate solo ora le segnalazioni dei tuoi commenti per i quali, anche se in grave ritardo, ti ringrazio.
      Per quanto riguarda la scrittura "ad orecchio", ti dirò: l'italiano è una lingua profondamente musicale e, come per la musica, bisogna allenare e istruire l'orecchio. Fatto questo, capita molto spesso che, nel dubbio, la scelta fatta "ad orecchio" si riveli essere quella più corretta anche dal punto di vista delle regole. Il problema nasce quando uno scrittore (professionista o per diletto, non fa gran differenza) scrive "ad orecchio" a caso, senza cioè aver prima sviluppato un'adeguata conoscenza della sua lingua (e, devo dire, in giro ce ne sono parecchi). Per il poeta il discorso può essere leggermente diverso, anche se non penso poi di molto. Che ne dici?
      Alla prossima!

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