lunedì 20 gennaio 2014

Grigio

Grigio

Data di pubblicazione: settembre 2012
Lunghezza: 13.780 parole
ISBN (Smashwords): 978-14-763-93711

All'anziano signore quella appena iniziata sembrava un giornata qualunque identica a migliaia di altre nel mondo grigio che lo circondava da anni. I colori sembravano spariti per sempre. Fermatosi però sulla sua solita panchina ad osservare quello che gli accadeva intorno, si accorse però di essere di nuovo in grado di percepire i colori ormai dimenticati...

Questo racconto è stato scritto contemporaneamente e parallelamente a "IL CERCHIO", col quale condivide in parte alcuni personaggi e situazioni, anche se usati con finalità diverse.

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Nel seguito del post potete leggere l'inizio del racconto. Buona lettura!




Grigio



L'uomo si alzò dal letto appena il timer collegato alla radio che teneva sul comodino scattò all'orario prestabilito. Aveva ottant'anni e per tutta la vita si era svegliato sempre molto presto; appena neonato era lui che, con i suoi vagiti, la mattina svegliava tutta la famiglia.
Quando frequentava la scuola invece era sua madre che lo destava in largo anticipo per fargli finire i compiti che durante il pomeriggio precedente aveva trascurato per giocare con i suoi amici. La mamma entrava nella camera che divideva con gli altri suoi fratelli ed apriva le finestre per lasciare che l'aria frizzante del nuovo giorno invadesse lo spazio riscaldato dai loro fiati. Quelli erano inverni davvero freddi e le coperte non bastavano a riscaldare il corpo poco vestito, perciò tutti e tre i fratelli erano costretti ad alzarsi bruscamente dal letto e a vestirsi il più velocemente possibile. Sua madre adottava un metodo tanto sicuro quanto brutale, ma poi si faceva subito perdonare accogliendo i suoi tre ometti nella cucina riscaldata dall'odore del pane che finiva di cuocersi nel forno e del latte che già si stava raffreddando nelle tazze.
Diventato ormai uomo era stata la sveglia di solido metallo, regalo di nozze di suo zio di terzo grado, a trillare nervosamente appena il sole nasceva e svegliava lui, la moglie e i bambini che, a diverse età e per i più svariati motivi, ottenevano il permesso di dormire nel lettone dei genitori. Ricaricare la sveglia ogni sera, prima di andare a dormire, era il rito che concludeva ogni suo giorno di vita.
Ora era un vecchio e continuava ad alzarsi di buon'ora. Da anni possedeva una nuova radio-sveglia, ma non si era mai abituato a quella diavoleria moderna; uno dei suoi nipoti gliela aveva regalata per sostituire il vecchio orologio che nessun orologiaio ormai sapeva riparare. Il nipote gli aveva spiegato che poteva scegliere tra diverse suonerie oppure poteva optare di destarsi con la radio. Il giovanotto era entusiasta del regalo che gli aveva fatto e così non ebbe proprio il cuore di dirgli che non ci si trovava con pulsanti e lucine; lui era della generazione delle leve e degli ingranaggi. Alla fine della lettura del "semplice manuale di istruzioni" il caro ragazzo aveva esordito: "Te la imposto io, nonno!". Ma una mattina di qualche mese addietro, senza volere, oltre al tasto che spegneva "l'ordigno" il vecchio signore aveva anche toccato uno di quei dannati pulsanti ed era riuscito a far perdere la sintonia della stazione radio che il nipote aveva così amorevolmente cercato per lui. Da allora, ogni giorno, veniva svegliato da suoni gracchianti e da fruscii sibilanti: aveva paura che se avesse tentato di toccare ancora uno di quei tasti (tutti ugualmente neri e incomprensibili), le cose sarebbero potute peggiorare.
Finito di fare colazione si lavò e, con cura, si vestì. Dopo aver stretto con movimenti sicuri il nodo della cravatta completò il suo abbigliamento infilando il cappello di feltro.
Fece girare due volte la chiave nella serratura della porta. Con due dita della mano sinistra infilate nel taschino del panciotto e con la destra serrata fermamente al manico del bastone di legno si allontanò lentamente dal condominio in cui viveva. Ad ogni passo la luce del giorno si faceva più coraggiosa, ma ciò nonostante non riusciva ad illuminare nulla. Tutto rimaneva confuso, come offuscato; tutto appariva reale ma incomprensibile, come le strutture edificate e non ancora completate che da qualche mese si stagliavano contro il cielo ad est del suo quartiere. Forse era la stagione che annebbiava tutto il paesaggio, o forse la colpa era dello smog che dipingeva una patina grigiastra su ogni cosa. Non sapeva spiegare tale fenomeno, l'unica cosa certa era che non vedeva più i colori. Il grigio che lo circondava gli era entrato così profondamente attraverso gli occhi, il naso, le orecchie, che ormai sembrava facesse parte del suo essere. Se si soffermava a pensare ai suoi ricordi, come spesso fanno gli anziani, gli riusciva difficile ricordare l'ultimo giorno in cui aveva visto l'azzurro del cielo, il verde del prato, il rosa del viso di un bambino. Addentrandosi in quella via dei ricordi si spaventava nel constatare che forse non aveva mai visto le tinte di cui sentiva la mancanza. No! Era impossibile. Se qualcuno glielo avesse chiesto avrebbe potuto descrivere perfettamente il tepore del giallo, il chiarore del bianco, la freschezza del blu. Il mistero più grande però era che, se davvero il colori erano scomparsi, nessuno se ne era accorto. Le persone che conosceva da anni e che incontrava saltuariamente, quelle che incrociava mentre passeggiava per il quartiere, quelle che vedeva alla televisione: nessuno pareva stupito o impaurito dalla mancanza dei colori. Forse il mistero era più semplice di quanto non sembrasse: era lui a non riuscire più a distinguere le diverse tinte a causa di qualcuno di quegli acciacchi che colpiscono le persone della sua età. Eppure alle volte si sorprendeva a ragionare in altri termini e si ritrovava a credere che fosse stata l'indifferenza della gente a cancellare dalla realtà l'arcobaleno di sfumature che definiva la superficie delle cose. Elencava anche sé stesso tra i colpevoli di questo atroce delitto: quante volte era passato tra la folla senza guardare gli esseri umani che la componevano, quante volte si era incamminato in un bosco senza ascoltare la musica e gli aromi che ne affrescavano l'anima. Proseguendo sulla linea di tali ragionamenti si era convinto che, probabilmente, sia lui che il resto dell'Umanità avevano perso la capacità di vedere le sfumature perché si erano disabituati ad apprezzarle.
Il vecchio uomo appariva sereno nonostante le sue danze mentali, ed era fermo di fronte alle porte di vetro del supermercato; aspettava pazientemente l'apertura del negozio. Da quando quasi tutti i piccoli commercianti della zona avevano chiuso le loro rivendite aveva preso l'abitudine di servirsi lì. Doveva ancora litigare con la bilancia elettronica del reparto frutta e verdura, ma di solito qualcuna delle inservienti veniva ad aiutarlo quando troppa gente rimaneva in coda dietro a lui.

Con il suo sacchetto di plastica trasparente era in coda alla cassa: c'era molta gente già a quell'ora del mattino. La fila di clienti si perdeva alle sue spalle amalgamandosi con gli scaffali e la merce in un'immagine nebulosa, come quando la lontananza assembla con differenti toni dello stesso grigio le montagne sopra al mare. In questo caso erano le luci al neon, lineari e fredde, che rendevano omogenee le differenze e che cancellavano la varietà facendo confondere il tutto con tutto il resto, privando ogni cosa della sua sostanza e togliendo a tutti la possibilità di scegliere.
Il tappeto mobile trasportò il suo sacchettino di frutta fino alla cassiera. Il vecchio la guardò in attesa che questa gli dicesse a quanto ammontava il conto. Anche la giovane donna lo guardava come se, a sua volta, stesse aspettando qualcosa da lui. Allora l'uomo si irrigidì imbarazzato: gli sembrava che la cassiera non gli avesse detto quanto avrebbe dovuto pagare… oppure lui non l'aveva sentita? Pensò che probabilmente il bip sintetico dello scanner aveva coperto la voce della donna. Non ebbe neppure il tempo di scusarsi di un fatto di cui forse non aveva neppure colpa che lei gli stava già rovistando nel borsellino che teneva aperto tra le mani. Era una cassiera nuova? Forse lo aveva già servito altre volte? Non riusciva ad inquadrarla abbastanza bene per esserne certo, così si allontanò con passo incerto e con la consapevolezza di non aver compreso tutto ciò che era accaduto.

Per raggiungere la stazione dei treni prese il bus che collegava la periferia al centro cittadino. Scese alcune fermate prima per poter percorrere a piedi il largo viale che terminava il suo corso proprio nel piazzale della stazione ferroviaria. Al centro correvano le corsie per le automobili, subito a lato c'erano le nuove piste ciclabili, mentre lungo entrambi i margini si poteva passeggiare all'ombra degli alberi secolari. Gli aceri apparivano tristi e vuoti, seppure fossero alti e imponenti; come spesso si poteva dire anche di uomini altrettanto potenti, sembravano malati. Foglie avvizzite ciondolavano sugli stessi rami su cui solide foglie garrivano al vento; alberi spogli, che apparivano già pronti ad affrontare un rigido inverno, crescevano accanto ad altri che avevano appena incominciato a risvegliare le loro timide gemme. Era impossibile riconoscere la stagione segnata dai calendari: il maltempo si era alternato ad intere settimane di caldo afoso e umido; anche la gente era confusa e se un giorno usciva di casa con un vestiario primaverile quello seguente alzava il termostato del calorifero. [...]

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