martedì 1 aprile 2014

L’uso dei tempi nella narrativa 2

L’uso del passato e la consecutio temporum.
Una rubrica a puntate a scadenza pseudo-casuale.


2 – Il passato prossimo e il passato remoto.

Eccoci alla seconda puntata di questa piccola rubrica sull'uso del tempo passato in letteratura. La volta scorsa abbiamo parlato dell'imperfetto, cercando di esaminarne le caratteristiche e la prassi d'uso. Oggi vedremo invece di parlare del passato prossimo e del remoto.

Ovviamemente i discorsi fatti qui per il modo indicativo si possono applicare anche al modo congiuntivo, che è l'unico altro modo verbale con più tempi nel passato (imperfetto, passato e trapassato).

Nelle prossime "puntate" (che, a meno di richiesta da parte vostra, penso saranno due) faremo una veloce chiacchierata dell'uso combinato tra i tempi "finiti" e l'imperfetto e sull'uso del presente storico.






La volta scorsa abbiamo visto come l'imperfetto sia un tempo indefinito e continuativo: esso cioè non chiarisce né il momento preciso in cui un'azione è avvenuta, né se essa si sia conclusa o se perduri nel suo svolgimento o nei suoi effetti. Esso inoltre consente di esprimere la simultaneità di eventi nel passato (“Maria pensava alle vacanze mentre fumava”).

Il passato prossimo (da qui in poi parlerò solo di passato prossimo, ma è sottinteso che il discorso va esteso anche al passato remoto e ai trapassati - NdR) è invece un tempo definito e conclusivo. Esso cioè esprime un'azione che si è svolta in un preciso momento nel passato è che si è conclusa: "Maria ha pensato alle vacanze e ha fumato". Nell'esempio precedente stiamo dando delle informazioni precise al lettore: ad esempio, Maria, tempo fa, ha fumato, dopodiché, evidentemente, ha finito di fumare. Certo potrebbe averlo rifatto, ma l'azione del fumare di cui si parla in quella frase è conclusa. Altra cosa che salta subito all'occhio è che le due azioni, pur collocandosi entrambe in un ambito temporale in teoria non troppo distante dal presente, non sono state contemporanee (o quantomeno non abbiamo elementi per sapere se ha fatto le due cose simultaneamente; d'altro canto, se ciò fosse avvenuto il narratore avrebbe dovuto usare l'imperfetto).

L'individuazione dell'esatta sequenza di un serie di azioni concluse nel passato viene garantita dall'uso gerarchico dei tempi "finiti", che in questo caso segue fedelmente la consecutio temporum: PASSATO PROSSIMO – PASSATO REMOTO – TRAPASSATO PROSSIMO O REMOTO. "Dopo che ebbe pensato alle vacanze, Maria fumò una sigaretta"; "Ieri Maria è tornata nel bar dove, esattamente un anno fa, conobbe Pietro." Negli esempi precedenti è ovvio quali avvenimenti sono accaduti prima e quali dopo, anche grazie agli avverbi temporali che normalmente si accompagnano al cambio di tempo. In merito ai rapporti tra passato prossimo e passato remoto, va poi sottolineato come, rispetto ad un certo avvenimento (singolo), la scelta tra i due può essere dettata anche da fattori psicologici o di "attualità": un episodio sentito come ancora attuali (storicamente, psicologicamente, moralmente, ecc. - e ciò indipendentemente da quanto tempo addietro siano avvenuti) viene di solito descritto con il passato prossimo, mentre, se esso è percepito come distante si preferisce l'uso del passato remoto. Va poi tenuto presente che la lingua scritta è leggermente diversa da quella parlata dove, regionalismi a parte, l'uso del passato prossimo sta progressivamente sostituendo quello del passato remoto (per non parlare del trapassato remoto, ormai quasi definitivamente... trapassato) in un processo di semplificazione sempre più rapida causata, purtroppo, molto più spesso dalla scarsa conoscenza della lingua più che da una scelta "cosciente". L'uso di entrambi i tempi, oltre che preservare il testo da un eccessivo impoverimento linguistico, fornisce all'autore gli strumenti per meglio descrivere al lettore la storia che ha in mente.

Anche il passato prossimo può essere usato con valore continuativo o ripetitivo mediante l'accostamento di avverbi di tempo o equivalenti locuzioni avverbiali: "Maria ha sempre fumato"; "Maria pensò alle vacanze per tutto il giorno". L'unica differenza rispetto all'analogo uso fatto dell'imperfetto è una più precisa collocazione temporale. "Maria pensò alle vacanze per tutto il giorno", QUEL giorno. "Maria pensava alle vacanze per tutto il giorno" è invece un'azione che si è protratta presumibilmente per più giorni. Insomma, l'imperfetto esprime continuità in un intervello di tempo indefinito, mentre il passato prossimo (e soci) esprime continuità in un intervallo di tempo magari amplissimo (ad esempio: "sempre") ma comnuque in qualche modo definito e individuabile.

Bene, per oggi direi che può bastare. La prossima volta parleremo di come si usano in maniera coordinata i tempi "finiti" e quelli "indefiniti". Alla prossima!

1 commento:

  1. Mi sembra di essere tornata a scuola... e non sono sicura di averti fatto un complimento.

    RispondiElimina